Tra i litiganti la destra gode

Roma, 3 luglio 2021 – Grillo ancora contro Conte. E viceversa. Ma il vero bersaglio è l’alleanza di un nuovo M5S col PD. Insieme al progetto di una sinistra unita, plurale ma strategicamente identitaria, esorcizzata in questi mesi da una vivace campagna politica e mediatica. Impegnata a sottolineare, un giorno sì e l’altro pure, l’incompatibilità tra due formazioni politiche, PD e Cinquestelle, non più in lotta fra loro. Con quale orizzonte, se non la tecnocrazia “illuminata” di Draghi a tempo indeterminato, è difficile dire. Un governo guidato da conservatori neoliberisti, come li ha giustamente chiamati Fabrizio Barca, con in più il peso determinante della destra di Salvini, da ieri ancora più a destra anche in Europa.

Non sorprende che questa campagna trovi, nel radicalismo di Grillo, il migliore alleato: “Conte deve studiare, capire quello che è il movimento”. Quello che era, gli aveva già obiettato pochi giorni prima il capogruppo dei senatori 5S Ettore Licheri, accennando al disegno, che a Conte era stato affidato, di un rinnovamento totale: “Siamo dentro a un confronto fisiologico, stiamo scrivendo un nuovo soggetto politico. È una bellissima cosa ma non è facile, dateci del tempo”.

“Grillo ha ficcato il movimento in un vicolo cieco – è stato il commento di Giuliano Santoro sul Manifesto – perché ha scelto di tracciare un solco tra il passato e il futuro: da una parte il M5S con le sue consuetudini e i suoi riti, dall’altra il papa straniero Giuseppe Conte”. Quando invece, mi permetto di aggiungere io, un confronto capace di superare strutturalmente, con il rifiuto della “casta”, sia il “partito dell’io” che il feudalesimo dei capi corrente, potrebbe avere effetti positivi sul tutta la politica italiana nel suo complesso.

Le carte della lite

Chi riuscirà ad averla vinta, se Grillo o Conte, lo vedremo. Ma più probabilmente, me lo auguro anch’io, assisteremo ad una parziale retromarcia di ambedue. Quel compromesso a cui il fondatore dovrebbe essere, fra i due, il più motivato. Perché senza la faticosa mediazione di Conte, la scissione di una base sempre più confusa e divisa sarebbe inevitabile. E i sondaggi attribuiscono più consensi a un eventuale movimento guidato dall’ex premier.

In queste giornate di assemblee e tentativi di mediazione si è capito che anche gli eletti sono divisi, con i senatori più decisi a mettere ai voti il progetto di statuto di Conte e i deputati in maggioranza restii a sfiduciare, formalmente o di fatto, il fondatore. E tutto questo baccano per un progetto conosciuto (per ora) soltanto nella sintesi orale dell’ex premier, anche se quest’ultimo ripete che “è a disposizione”, se il garante è d’accordo.

Il Garante ha chiesto che si votassero subito i nomi per il consiglio direttivo sulla piattaforma Rousseau. Poi gli hanno spiegato che questo non era più possibile secondo la legge e pare che abbia finito per accettare che la votazione avvenga, come ha deciso il capo politico provvisorio, Crimi, sulla nuova piattaforma del movimento. Da parte sua, Conte ha confermato che comunque vadano le cose non rinuncerà ad un progetto che “ha già raccolto molti consensi”.

Qualche problema al governo Draghi

Sui giornali abbiamo letto anche che una eventuale scissione darebbe qualche problema al governo Draghi. Tuttavia non sarebbe questo il peggiore dei mali, dato che questo governo “con tutti dentro” si rivela ogni giorno di più un esecutivo conservatore tutt’altro che incline ad avviare quei mutamenti di politica economica che si renderebbero necessari per una nuova e diversa “normalità” . E non a caso Salvini, con tutta la sua demagogica indipendenza, pare più soddisfatto di chi, come il segretario del PD Letta, continua a definirlo “il nostro governo”.

Negli anni scorsi personalmente ho pensato e scritto più volte che una scissione dei 5stelle poteva essere vista, insieme a quella del PD di Renzi, come una delle condizioni necessarie al rientro di elettori ed iscritti nell’ ambito di una sinistra unita nei valori e negli obbiettivi di fondo. L’altra condizione essendo quella da manifestare all’esterno col ritorno nelle periferie e l’apertura al mondo del lavoro. All’interno, con la fine del “partito dell’io” o dei capi-corrente e una vera partecipazione della base alle decisioni dei vertici.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: