La parte più nera della destra che rischia di andare (tornare?) al potere. Di questo ci parla oggi Massimo Marnetto, come della più forte, anche se certo non unica, motivazione per il coraggio da lui stesso richiesto ieri ai tanti astensionisti di sinistra affinché tornino alle urne il 25 settembre.
Il vittimismo della Meloni
Meloni teme il fango. Eppure se ne è abbondantemente cosparsa manifestando la sua ammirazione per un personaggio come Orban, il dittatore ungherese che ha perseguitato dissidenza, stampa e minoranze. O omaggiando Trump, finito sotto processo per aver istigato l’assalto a Capitol Hill. Tutti politici con un elemento comune: non riescono a restituire il potere. Se vengono eletti democraticamente, cambiano le regole per conservare la carica, eliminano i concorrenti per non perdere le elezioni oppure invocano il broglio elettorale, come ha fatto Trump.
Gente così non può entrare nelle istituzioni nazionali, perché poi le manomette, anche cambiando la Costituzione. E attenzione al vittimismo della Meloni: la violenza della destra è sempre preparata dall’invenzione di un’ingiustizia subita a cui è giusto reagire, in modo che l’aggressione appaia legittima difesa.
Ce n’è abbastanza per capire che le prossime elezioni non saranno ”normali”, perché la parte più nera della destra si è avvicinata troppo al potere. E se lo conquista, scene come l’assalto alla sede della Cgil – di cui la Meloni si rifiutava di vedere la matrice fascista – diverranno frequenti e tollerate. Per evitare questo baratro, ognuno deve fare la propria parte. Individualismo e fatalismo sono altrettanto eversivi.
Rosy Bindi su Radio Popolare

“Mi auguro che il PD non si limiti a fare una fotografia del Governo Draghi che non può essere identificato come un governo di sinistra.
I non votanti sono soprattutto appartenenti alle categorie più fragili. Chi li rappresenta? Vogliamo veramente regalare consenso alla destra sociale?
Abbiamo un fianco scoperto a sinistra. Dobbiamo immaginare un programma coraggioso dal punto di vista sociale, caratterizzato da forti proposte sul tema delle diseguaglianze.
Inseguire i voti del centro, immaginare alleanze con un centro piccolo e affollato, sarebbe un errore più grave di ritrattare quanto qualcuno ha dichiarato sui 5 Stelle”.
Due trilioni e mezzo di dollari per armi nel mondo
Piero Orteca su Remocontro
Due trilioni e mezzo di dollari per le armi, quest’anno. Basterebbero 265 miliardi all’anno per debellare la fame nel mondo
La rivista americana di geopolitica Foreign Affairs fornisce i numeri di un mercato “particolare”. Quello delle armi, che ammazzano molti e fanno ingrassare pochi. Lasciamo per ultime le nostre riflessioni e andiamo ai fatti.
Sotto il titolo “Il grande riarmo globale. L’Ucraina e il pericoloso aumento delle spese militari”, tre analisti di FA (Man Tian, Diego Lopes da Silva e Alexandra Marksteiner) ci spiegano come, dopo un periodo di relativa tranquillità, sia ripresa una frenetica corsa agli armamenti.

2500.000.000.000.000.000 dollari
Sembrava che, con la fine della Guerra fredda, fosse scemata la propensione al bellicismo. La globalizzazione economica e il conseguente miglioramento delle relazioni internazionali avevano creato un clima di “cointeressenza”. Cioè, di mutua cooperazione. E i conflitti che proprio dovevano divampare lo facevano solo su scala regionale. Naturalmente, con le dovute eccezioni, dato che il pianeta si porta appresso aree di crisi cronicamente aperte da decenni.
Fine della unipolarità Usa
È stata la fine della “unipolarità” statunitense, all’inizio del 2000, a decretare la svolta. Da quella data, dicono i ricercatori di FA, le grandi nazioni hanno ripreso a riarmarsi. Prima Russia e Cina e poi, in special modo dopo l’11 settembre, gli Usa. “Le spese militari europee – invece – sono rimaste stagnanti, almeno fino al 2014. Fino a quando, cioè, Mosca non si è annessa la Crimea”. Da quel momento le strategie sono cambiate anche nel Vecchio continente, anche se non in misura così marcata, come avvenuto dopo l’invasione dell’Ucraina.
Più armi più sicurezza?
Secondo FA, finora, a parte le altre nazioni occidentali, 29 Paesi europei hanno stanziato 209 miliardi di dollari di fondi per nuovi acquisti militari. L’Alto rappresentante UE per la Politica estera e la sicurezza, Josep Borrell, ha chiesto a tutti i membri dell’Unione “di spendere di più e meglio”.
Ma la sicurezza globale dipende dalle armi? Secondo Foreign Affairs, in minima parte e nel breve periodo. Il concetto di “sicurezza” è molto ampio e non può essere solo limitato ai casi estremi di conflitto tra nazioni, cioè alle guerre. Esistono emergenze diverse, più pressanti e “certe”: quella climatica, quella sanitaria, quella alimentare, quella per l’acqua.
Sicurezze di vita e rischio ‘miscalculation’
Combattere una guerra preventiva, riempiendo i nostri arsenali di armi costosissime, significa sottrarre risorse indispensabili per le altre battaglie che l’umanità deve sicuramente affrontare. L’altra valutazione che viene fatta dagli specialisti, è che il possesso di armi sofisticate crea un pericoloso clima di incertezza. In situazioni di questo tipo, una reciproca “miscalculation” (incomprensione) può risultare fatale, dando vita a un’escalation incontrollabile.
Defense investment pledge Nato
Come detto, in Europa la svolta è arrivata con l’annessione russa della Crimea nel 2014. In quell’anno, la Nato ha elaborato un documento, il Defense investment pledge, che invita gli Stati membri a portare la spesa militare al 2% del Pil. Una raccomandazione che era andata a rilento, ma che dopo l’invasione dell’Ucraina hanno raccolto tutti. La Germania ha fatto molto di più, varando un piano extra per acquisto di armamenti di ultima generazione, fino a 104 miliardi di dollari.
Super armi americane
Nel budget sono anche compresi i costosissimi caccia americani “da superiorità aerea” F-35. Stesso discorso per la Polonia (3% di budget) e per la Romania (2,5% di budget). Naturalmente, entrambi i Paesi compreranno armi americane. Armi, di ultima generazione, che sono trasferite a ciclo continuo e in quantità massicce in Ucraina, che così diventa un’eccezionale vetrina per tutta l’industria Usa del settore. Foreign Affairs calcola che, solo per quest’anno, Biden abbia chiesto stanziamenti straordinari per la Difesa per ben 90 miliardi di dollari. Un’enormità. L’Ucraina, direttamente o indirettamente, ne dovrebbe avere una quarantina, oltre a quelli già ricevuti in passato.
L’industria bellica Usa
Gli Stati Uniti spendono per le armi dieci volte più della Russia e tre volte più della Cina. Quest’ultima, in termini di potenza militare, se si escludono le forze nucleari, è ben più potente di Mosca. Negli ultimi tempi, Pechino ha progressivamente incrementato il bilancio della difesa del 10% all’anno, arrivando quasi a 300 miliardi di dollari. Ma i cinesi sono ancora ben lontani dagli Stati Uniti.
Valori democratici e anche meno
Certo, i valori democratici e i diritti della persona vanno difesi. Certo, anche dietro ogni grande partita politica internazionale possono nascondersi obiettivi molto meno nobili e confessabili. E quella del business più o meno mascherato delle armi, è una di quelle trappole della comunicazione che richiederebbe l’intervento di specialisti di psicologia sociale. Di massa.
Nobel inventò la dinamite
Barack Obama, premio Nobel per la pace, ha elaborato un programma di difesa e risposta nucleare del costo di 1,2 trilioni di dollari. Il piano, in corso di realizzazione, sarà terminato nel 2045. Bene, un rapporto dell’Onu e del Programma alimentare mondiale ha stimato che ci vorrebbero 265 miliardi di dollari all’anno, da qui al 2030, per sconfiggere la fame nel mondo. Qualcuno si faccia l’esame di coscienza.
In Cina la decrescita demografica diventa un problema
di Michele Marsonet su Remocontro
Nascite in calo e invecchiamento della popolazione non sono solo problemi cinesi. Gli asiatici stanno invecchiando, vivono più a lungo e tendono a muoversi dalle metropoli verso città secondarie, mentre è in corso un cambiamento sociale che vede le donne lavorare di più e partorire sempre meno figli.

Inverno demografico cinese
Parlare di “inverno demografico” in Cina può sembrare un paradosso, visto che la popolazione ammonta a circa un miliardo e 400 milioni di persone. Eppure il Partito-Stato che governa dal 1949 la Repubblica Popolare lascia trapelare segnali di preoccupazione.
Il numero di persone in età lavorativa resta molto alto, ma è anche vero che sta diminuendo a un ritmo che le autorità non si attendevano. E il calo aumenterà ancor più nel prossimo decennio, facendo diminuire di quasi due terzi i potenziali lavoratori nel 2100.
I motivi sono piuttosto noti. L’inizio della decrescita si deve alla celebre “politica del figlio unico” inaugurata da Deng Xiaoping nel 1979 e durata sino al 2015. Tale politica mirava a ridurre le nascite ad ogni costo mediante aborto, contraccezione e sterilizzazione, in molti casi forzati.
Troppi maschi per poche donne
La propaganda del Partito, a un certo punto, si vantò di aver impedito la nascita di 338 milioni di bambini. In seguito la rigidità fu allentata e, nel 2015, le coppie furono autorizzate ad avere due figli.
Si giunse poi, nel 2021, alla possibilità che una coppia potesse generare tre figli. Si noti tuttavia un fatto molto importante. Per ragioni legate alla cultura tradizionale cinese, i maschi sono considerati più importanti delle femmine. Ne consegue che la maggioranza degli aborti riguardava proprio le bambine.
Il Partito non aveva tuttavia calcolato lo squilibrio causato da tale tendenza tradizionale. Il risultato è che ora, nella Repubblica Popolare, i maschi superano di gran lunga le donne, con conseguenze piuttosto ovvie sul piano demografico.
Preferiti i consumi dei figli
Inoltre l’innalzamento del livello di vita e le aspettative lavorative rendono le coppie più restie alla riproduzioni rispetto ai periodi precedenti. Un fenomeno che in Occidente conosciamo bene. Una coppia preferisce destinare una buona parte della retribuzione all’acquisto di beni, agli animali domestici e allo svago piuttosto che ai figli.
Gli inviti dall’alto ad aumentare le nascite non hanno insomma avuto molto successo. I cittadini, proprio come accade da noi, gradiscono sempre meno che sia lo Stato a decidere di quanti membri dev’essere composto un nucleo familiare.
Le nascite in Cina, dopo aver raggiunto il culmine nel 1982, sono da allora inesorabilmente calate, e non vi sono affatto segnali di una inversione di tendenza.
Braccia in meno e i vecchi costano
Naturalmente tutto questo ha un’influenza diretta sull’economia che, com’è noto, per vari motivi sta subendo un rallentamento significativo. Il Covid, a dispetto della propaganda di Partito che sosteneva il contrario, non è affatto stato sconfitto.
Al contrario, la politica dei “lockdown” totali che continuano ad essere imposti in parecchie metropoli, ha rallentato il motore della locomotiva economica del mondo, causando problemi in ogni Paese per la crisi delle catene di approvvigionamento.
Assaggi di proteste pubbliche
Vi sono stati inusuali (per la Cina) proteste pubbliche dovute alle enormi difficoltà di movimento. Ultimi a protestare gli operatori sanitari anti-Covid, costretti a indossare vestiti simili a scafandri in un clima torrido. La TV pubblica ha proiettato scene di svenimenti e di asfissia dovuti proprio a simili bardature.
Non pare, almeno dall’esterno, che Xi Jinping possa avere problemi per il suo terzo mandato, che dev’essergli conferito dal 18° Congresso del Partito che si terrà in novembre. Tuttavia la situazione generale del Paese è meno brillante del previsto.
Problemi politici nuovi e inconsueti
Forse il leader dovrà fronteggiare un certo malcontento che serpeggia nel PCC per parecchi motivi. Molti non vedono grossi vantaggi nell’alleanza con la Russia di Putin e preferirebbero un riavvicinamento all’Occidente (soprattutto per motivi economici).
Altri caldeggiano una maggiore attenzione ai problemi interni e una politica estera meno muscolare. In ogni caso Xi dovrà stare attento a non scontentare nessuno, pur in assenza di qualsiasi opposizione organizzata.
- Reader’s – 5 giugno 2023 – rassegna web di nandocan magazineI poveri e l’ideologia del merito. Merito deriva da merere, cioè guadagnare, da cui derivano anche mercede e meretrice. La meritocrazia è l’ideologia del merito che, come tutte le ideologie, prende una parola che ci piace e ci affascina, la manipola e la perverte. E così, in nome della valorizzazione di chi è meritevole e povero, l’ideologia meritocratica è diventata la legittimazione etica della diseguaglianza.Don Milani, di cui festeggiamo quest’anno il centenario, queste cose le sapeva molto bene. Sapeva che i suoi ragazzi di Barbiana non erano demeritevoli: erano soltanto poveri; non erano colpevoli, erano soltanto poveri.(Bruni) /L’Ue vota l’economia di guerra: «Fondi Pnrr per le armi». Dal welfare al warfare (Rem) /
- Reader’s – 4 giugno 2023. Rassegna web di nandocan magazineL’Ucraina è pronta a lanciare la sua attesa controffensiva: lo ha affermato il presidente Zelensky in un’intervista al Wall Street Journal. «Crediamo fermamente che avremo successo», ha commentato il leader ucraino da Odessa. Zelensky ha riconosciuto la superiorità aerea russa e la mancanza di protezione da questa minaccia: «Significa che un gran numero di soldati morirà nell’operazione». «Ad essere onesti, può andare in vari modi, completamente diversi. Ma la faremo e siamo pronti». /Violenza sulle donne. Il problema riguarda solo gli uomini? (Lamagna) / Caro Massimo…(Lello Arena)
- Reader’s – 3 giugno 2023. Rassegna web di nandocan magazineL’allarme lanciato ieri dal Center for AI Safety, 350 imprenditori, ricercatori ed esperti del settore, compresi i personaggi che oggi si contendono il primato dello sviluppo dell’AI: (Maggi) /Il naufragio delle spie Aise-Mossad sul lago Maggiore. Funerale in Israele silenzio in Italia (Remocontro) /Rivoluzione e fratellanza (Lamagna)
- Reader’s – 2 giugno 2023 – rassegna web di nandocan magazineIl bluff del “nuovo secolo americano”.Se finisce il bluff del “morire per l’Ucraina”, finisce anche il bluff, o l’illusione, del “nuovo secolo americano” e dell’Impero globale dominato dagli Stati Uniti, che non dovevano essere superati, ma nemmeno eguagliati, come dicono, da alcuna altra Potenza. Possiamo così sperare che il conflitto in Europa si concluda prima che il suo contagio si diffonda o degeneri in una guerra mondiale, secondo l’avvertimento che viene dal Kosovo.Ma per noi è troppo poco che questa guerra finisca, innescando magari un lungo periodo di guerra virtuale e di “competizione strategica” fino alla “sfida culminante” con la Cina, come minacciano i documenti sulla “Strategia nazionale” degli Stati Uniti. Dobbiamo invece uscire dal sistema di dominio e di guerra e passare a un’altra idea del mondo, come un mondo di mondi diversi in relazione tra loro, fondato sulla pace, sulla cura della Terra e sulla dignità di tutte le creature.(La Valle)/Dal Maghreb alla Tunisia siccità devastante: fame o fuga (Orteca) / Popolo e patria (Lamagna)
- Reader’s – 1 giugno 2023 (speciale)Il mio ricordo di don Lorenzo Milani nel centenario della nascita. Non un profilo biografico, ce ne sono tanti in giro. Quello che segue è un un ricordo personale di due incontri con lui e di una stagione straordinaria e indimenticabile della città in cui sono cresciuto.