Lo sguardo nostro e quello altrui. Patrioti, sovranisti o cittadini del mondo, come riteniamo di essere, sta di fatto che ognuno (cittadino o stato o gruppo di stati) cerca ancora di ricavare dalla globalizzazione in atto il massimo profitto al minor prezzo e possibilmente a spese altrui. Vale anche per il percorso obbligato che l’umanità intera è obbligata a compiere per salvare il pianeta. A cominciare dalla decarbonizzazione: troppo lenta per la scienza che valuta oggettivamente le disastrose conseguenze del riscaldamento climatico; “frettolosa” invece per chi rifiuta ancora di apportare i cambiamenti necessari al modello di produzione e sviluppo ( fondato sull’egoismo) che la decarbonizzazione richiede. Frettolosa la nostra per la Cina quando è in ritardo nella riduzione di Co2, frettolosa invece quella della Cina quando è in testa nella produzione di motori elettrici. Dell’uno e dell’altro caso si parla negli articoli che seguono di Remocontro (Piero Orteca e Michele Marsonet), ma la testimonianza più importante è quella di Andrea Zhok che invita a smettere di guardare la pagliuzza nell’occhio degli altri senza notare la trave nel nostro. (nandocan).
L’Europa virtuosa decarbonizza e tutti gli altri, Cina in testa, ne approfittano
Piero Orteca su remocontro
In Europa costerà molto di più alle imprese (e ai consumatori) inquinare l’atmosfera, con i vapori di CO2. Chi ‘decarbonizza’ di più si guadagnerà l’affetto imperituro dei posteri, sempreché, nel frattempo, non abbia mandato alla malora la sua economia.
‘Vasi comunicanti’ il ‘cane che si mode la coda’
Nel mondo globalizzato, quello che decidi di non commerciare più, lo produrranno certamente altrove. Vale con le sanzioni, che se le applica l’Europa, qualcuno in qualche altro continente ci sostituirà sul mercato. E vale per l’inquinamento dove, se lo riduci in casa ad alti costi, altri, con carbone e petrolio a basso costo moltiplicheranno emissioni e concorrenza.
Il ‘pulito’ costa ed in vicino di casa inquina con lo sconto
Il problema è molto semplice, ma angosciante nello stesso tempo. Le energie rinnovabili ancora non sono concorrenziali con quelle fossili. E la spinta virtuosa verso le rinnovabili, nell’immediato può avere effetti collaterali non sempre accettabili da tutti. Primo, la catena di formazione dei prezzi si carica di un costo aggiuntivo, alimentando l’inflazione. Due, si rischia la delocalizzazione delle imprese, in nome della ‘decarbonizzazione’.
Transizione a tappe forzate
Se, infatti, la transizione ambientalistica a tappe forzate è particolarmente popolare in Europa, lo stesso non si può dire per molte altre zone del pianeta. E se le maggiori democrazie industriali occidentali rinunceranno (come dicono di voler fare) molto presto all’utilizzo dei carburanti fossili, il prezzo di questi ultimi crollerà e la loro ampia disponibilità sarà sfruttata dai ‘giganti’ dell’Asia e dell’Africa. Questi Paesi, probabilmente (e paradossalmente), finiranno per inquinare più di quanto facciano attualmente.
Dove per inquinare devi pagare e dove è gratis
Lo scenario è tratteggiato efficacemente da Mark Lewis (Andurand Capital Management), che cita i ‘Crediti ETS’ inventati dall’Unione (100 euro a tonnellata per scarti di CO2 oltre i limiti fissati). Acquisti crediti, paghi e inquini. ‘Licenza ad inquinare’, ma con costi promessi a crescere, avverte Bruxelles per arrivare ‘zero-carbon’ entro il 2039.
L’acronimo di Ets, o il mercato delle emissioni di Co2 in Europa, indica l’European Union Emissions Trading System. Uno dei principali strumenti dell’Unione europea per la riduzione della Co2 nei principali settori industriali e aviazione.
Linea dura e pura Ue e il resto del mondo
Finora, la più ‘dura e pura’ sul fronte ambientale è stata l’Unione Europea. Gli altri, come gli Stati Uniti, si arrangiano. O, come la Cina e l’India, che promettono ma non mantengono. Negli Stati Uniti, per esempio, divampano le polemiche anche ai piani alti della politica. In molti dicono che il sistema americano delle quote di CO2 emesse, comprate con i “crediti”, è tutto un imbroglio. Diversi senatori democratici, tra cui Bernie Sanders, hanno chiesto al Congresso di chiarire alcuni punti che, forse, consentono scappatoie alle imprese. Per quanto riguarda l’India, invece, basta solo ricordare che a Glasgow, alla ‘COP26’ sul clima, Narendra Modi ha dichiarato che il suo Paese sarebbe diventato “carbon-neutral” solo nel 2070.
Cina e gli impegni traditi di Xi
Notoriamente, la situazione non è più brillante in Cina. Anzi. Xi Jinping pare che si sia rimangiato tutti gli impegni ambientalistici, che erano stati presi negli ultimi anni, quando Pechino era arrivata ad aprire una centrale a carbone quasi ogni settimana. Nel 2021, le autorità amministrative dello Shanxi hanno multato una società (la ‘Jinneng Holding’) per avere superato i limiti di estrazione del carbone in più di 50 siti, dopo una serie di terribili incidenti. In un solo impianto i minatori avevano estratto il 400% in più di minerale. Ma la punizione si è rivelata un fuoco di paglia: da Pechino le direttive sono state quelle di darci sotto, senza esitazioni. Così, la “Jinneng” ha potuto scavare ben 380 milioni di tonnellate di carbone, diventando il secondo produttore in assoluto della Cina.
Ambientalismo d’occasione, a volte si a volte no
Bisogna dire che, forse per ragioni di ‘maquillage’ politico, Xi per un certo periodo ha predicato una sorta di rivoluzione ambientalista, cercando, nei suoi discorsi, di sensibilizzare i massimi dirigenti e gli intellettuali del partito. Ma, poi, l’improvvisa ripresa post-pandemica ha capovolto tutti gli scenari. La necessità di avere maggiori quantità di energia a costi sopportabili, ha decretato il revival del carbone, grazie al quale oggi la Cina produce il 60% della sua elettricità. E nuove centrali, per miliardi di dollari, stanno per essere costruite.
Secondo Greenpeace East Asia, la Cina, ancora economicamente tramortita per i devastanti effetti del Covid, mira a recuperare il tempo e la crescita perduti. Lo strumento più veloce è il carbone, peccato che sia anche il più inquinante.
La Cina ‘elettrica’ per il bando Ue dei motori a benzina e diesel

Michele Marsonet su Remocontro
Com’è noto, i vertici dell’Unione Europea hanno deciso di bandire i motori a benzina e diesel a partire dal 2035. Tale decisione ha suscitato in Europa tantissimi dubbi e perplessità. È evidente a tutti, o quasi, che la transizione green effettuata in tempi così rapidi è foriera di guai a non finire. Non è difficile prevedere che causerà la crisi della nostra industria automobilistica, con enormi ricadute sul Pil e, soprattutto, sui livelli occupazionali.
In altre parti del mondo, al contrario, tale decisione ha suscitato grande entusiasmo, peraltro legittimo. Ne trarrà vantaggio l’industria automobilistica della Repubblica Popolare Cinese, maggior produttore mondiale di auto elettriche.
Global Times di Pechino e i conti in tasca
Assai significativo il commento del “Global Times”, il quotidiano in lingua inglese del Partito comunista di Pechino. Scrive infatti: “Gli esperti hanno affermato che l’adozione da parte della Ue di veicoli elettrici aumenterà le esportazioni cinesi verso il mercato europeo”. E ancora: “Le esportazioni cinesi di veicoli a nuova energia potrebbero aumentare di almeno il 50% su base annua quest’anno, fino a circa un milione di unità”.
In effetti, secondo le stesse fonti cinesi, la Repubblica Popolare nel 2022 ha già esportato 679.000 veicoli elettrici, con un aumento del 120% rispetto al 2021.
L’elettrico solo sognato
Ovviamente l’entusiasmo cinese è del tutto legittimo. Occorrerà molto tempo prima che le nazioni europee riescano ad avere una vera industria produttrice di automobili elettriche, mentre la Cina, in questo campo, è pronta da tempo. Da notare, inoltre, che le macchine elettriche “made in China” hanno prezzi contenuti e molto appetibili, visto il basso costo del lavoro e l’assenza di problemi sindacali nella Repubblica Popolare.
Trappola pronta a scattare
Siamo quindi in presenza di una vera e propria trappola pronta a scattare. E il governo di Pechino gongola pensando al proprio Pil in aumento, e alla maggiore dipendenza Ue dalla produzione del Dragone. Tutto questo alla faccia del “decoupling” tra le economie occidentali e cinese promosso da Donald Trump, e in seguito approvato – in teoria – anche da Joe Biden.
Il governo italiano ha promesso di combattere nel Parlamento europeo per abolire il divieto voluto dai vertici di Bruxelles. Ma molti dubitano che abbia la forza per rovesciare decisioni già prese da Ursula von der Leyen e compagnia.
Tempi duri per il green di fretta
Ci attendono insomma tempi duri e difficili. In nome di una transizione green troppo frettolosa, rischiamo il collasso di un settore fondamentale della nostra industria. E questo vale non solo per l’Italia, ma anche per Germania e Francia. Gli unici a sorridere soddisfatti sono Xi Jinping e il gruppo dirigente che lo circonda.
Lo sguardo altrui

di Andrea Zhok*
Nei rapporti con gli altri il fattore fondamentale per consentire l’instaurarsi di rapporti pacifici e di mutua comprensione è la capacità di mettersi nei panni altrui, di guardare il mondo circostante anche con gli occhi dell’altro, dalla sua prospettiva.
Non è un esercizio facile, ma è l’esercizio etico primario che sta alla base di tutte le etiche tradizionali come formula della reciprocità.
Questa prassi è stata tuttavia progressivamente erosa nella cultura occidentale (in particolare americana). Non è sempre stato così, ma oggi lo sguardo occidentale è addestrato a concentrarsi su quali possano essere i lati da cui l’altro potrebbe avermi offeso, dal mio punto di vista, posto come ultima autorità.
Unilateralismo etico
Spostato sul piano della politica estera questo unilateralismo etico nell’opinione pubblica si esprime in forme di “imperialismo ingenuo”, che farebbero tenerezza se non lasciassero dietro di sé una scia di morte e distruzione.
Ora, qualcuno ancora oggi continua a chiedersi: “Cosa mai avrà avuto da temere la Russia in Ucraina? E’ chiaro che si tratta di un pretesto per invadere l’Europa.” “E cosa mai avrà da temere la Cina per armarsi?” “E cosa mai avranno da temere l’Iran, o la Corea del Nord, o il Venezuela,” ecc. ecc.?
Perché, giusto cielo, ci odiano tanto, noi che siamo manifestamente lo standard della civiltà e cavalleria?
Dettagli
Per approssimare una risposta può aiutarci soffermare un momento lo sguardo su alcuni dettagli. Ad esempio: Gli USA sono il paese al mondo maggiormente coinvolto in conflitti bellici nel corso della sua storia; e sono peraltro il paese con l’esercito di gran lunga più potente al mondo, spendendo da soli più della somma dei successivi 15 paesi più militarmente sviluppati al mondo (800 miliardi di dollari/anno per gli USA, contro i 293 della Cina, i 76 dell’India, i 65 della Russia, i 56 della Germania, ecc.; dati 2021).
Gli USA hanno inoltre fomentato sistematicamente un’infinità di colpi di stato verso governi sgraditi (spesso vantandosene post hoc).
E quando i regime changes non riescono in forma indiretta, nutrendo le proprie quinte colonne, si passa spesso allo stadio successivo, dell’intervento diretto.
Il canone dell’interventismo americano
Il canone, divenuto oramai classico, del’interventismo americano è infatti rappresentato da un’operazione in due tempi: in prima istanza si alimentano e finanziano le proteste (sempre sedicenti “democratiche”) all’interno del paese X; in seconda istanza si utilizza come giustificazione ad intervenire il fatto di essere “invocati dalla minoranza oppressa nel paese X”.
Questo giochino, sempre spalleggiato dai media a gettone, è uno schema universalmente noto e discusso ovunque, tranne in Occidente.
Qui da noi i probi raddrizzator di torti, Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo sotto l’ascella, sono invece sempre sinceramente stupiti di come ovunque la giungla extraoccidentale pulluli di malvagi oppressori, e di oppressi desiderosi di essere liberati da noi.
Basi militari
Se pensiamo che il segno distintivo del controllo militare imperialistico è la presenza di basi miltari al di fuori del proprio territorio, è utile ricordare che i paesi da noi descritti come proverbialmente aggressivi e guerrafondai (Russia, Cina, Iran, Corea del Nord) possiedono tutti assieme una manciata di basi militari extraterritoriali (6 la Russia, 4 la Cina, tutte in paesi loro prossimi). Gli USA da soli possiedono invece oltre 800 basi militari extraterritoriali, distribuite su tutti i continenti.
Infine, come impeccabilmente documentato da Daniele Ganser (ne “Le guerre illegali della NATO”), dopo la caduta dell’URSS, la Nato, non si è limitata ad espandersi massivamente, in particolare verso Est, ma è intervenuta ripetutamente con iniziative di aggressione verso paesi terzi (iniziative non difensive, in violazione della funzione originaria dell’alleanza).
La pagliuzza e la trave
Ed è per queste, e altre, ragioni che sarebbe utile smettere di continuare a scandalizzarci della pagliuzza nell’occhio altrui senza notare il trave nel nostro. Da occidentali spiace dirlo, ma nonostante il profluvio di autoassoluzioni hollywoodiane, da tempo agli occhi del resto del mondo gli USA appaiano come il bullo del quartiere e la Nato come la sua gang.
*Andrea Zhok è direttore editoriale della collana Etica. Fondamenti e applicazioni per la casa editrice Mimesis, oltre a essere membro dei comitati scientifici di varie riviste di settore (tra cui New Yearbook for Phenomenology and Phenomenological Philosophy, Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia, Filosofia, Esercizi Filosofici, Rivista Italiana di Filosofia Analitica Jr., Scenari). Inoltre è editorialista e autore per diversi quotidiani e riviste, come L’Espresso e MicroMega, e del centro studi “Osservatorio Globalizzazione”, dove affronta prevalentemente temi di attualità, politica ed economia.
Anima individuale (atman) e anima universale (brahma).

di Giovanni Lamagna
Condivido l’idea centrale dell’induismo: che c’è un’anima individuale (atman) e c’è un’anima universale (brahma).
Anche per me l’anima individuale (di ognuno di noi) non troverà pace fino a quando non si fonderà con l’anima universale.
Fino a quando – in altre parole – non scoprirà che il suo interesse profondo coincide con quello dell’anima universale, che è fatta dall’insieme delle anime individuali e, financo, di tutte le cose, organiche e inorganiche, che compongono il creato.
Fino a quando cioè non scoprirà e non imparerà a praticare la logica dell’amore, che affratella – secondo l’insegnamento di santo Francesco – tutti gli uomini, anzi tutto ciò che esiste in natura: sorella acqua, sorella terra, sorella aria, fratello fuoco…
- Reader’s – 18/19 marzo 2023“L’economia è fatta di aspettative, e se si rompe il rapporto fiduciario tra risparmiatori e banche, beh allora non c’è assolutamente modo di rimettere le cose a posto, in tempi brevi e senza traumi”. Così oggi Piero Orteca su Remocontro. Ed è “patologicamente” vero almeno da quando la finanziarizzazione dell’economia ha separato e comunque posto in secondo piano il valore oggettivo e concreto di beni e servizi rispetto a quello atteso o immaginato dalle contrattazioni in borsa. Tanto che, come si ripete stancamente ma inutilmente da decenni, non esiste quasi più alcuna corrispondenza tra l’economia reale e quella trattata dalle banche. E’ il capitalismo “di cartone” che procede impavido condizionando pesantemente la politica, per lo più incurante della sorte di imprese e lavoratori. Altro che “politique d’abord”. / Cavia Ucraina: il riciclaggio degli armamenti al collaudo assassino (Ennio Remondino) / Stavolta Piantedosi ce la può fare (Massimo Marnetto)
- Reader’s – 17 marzo 2023Landini ci ha provato e ha fatto bene. Che a prendere l’iniziativa sia il segretario generale della CGIL è già una garanzia che almeno nelle intenzioni non si tratta di un restyling del vecchio PD, del tentativo cioè di rimettere insieme i cocci di una fusione fallita in partenza. Marnetto è pessimista, ma che Calenda si smarchi per la presenza di Conte e Conte sia tiepido per la presenza di Calenda era non solo ampiamente prevedibile ma anche comprensibile, se davvero si tratta di ricostruire una sinistra plurale ma coerente. Come si dice, errare è umano, perseverare diabolico. Se invece l’obbiettivo era più modestamente quello di accordarsi per l’opposizione a questo o quell’obbiettivo del governo Meloni, a cominciare dal presidenzialismo e dall’autonomia differenziata), allora sì, sarei d’accordo con lui, ma non aspettiamoci salti di gioia./ Un Medio Oriente libero dall’Occidente con più paci che guerre/ viaggio nell’inconscio
- Reader’s – 16 marzo 2023QUEL GIORNO IN VIA DEI VOLSCI. Il 16.3.78 fu rapito Moro. Io ero in un appartamento in Piazza dei Re di Roma. Il mio amico S. entrò nella mia stanza con una radio da cui proveniva la notizia.Era così inverosimile che cercai di immaginare come avesse fatto a imbastire quello scherzo, era un burlone…/La maggioranza del mondo che non pensa occidentale e la titolarità della pace (Michele Marsonet)
- Reader’s – 15 marzo 2023Riarmo forsennato per ammazzarci prima e meglio? Il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha chiesto per il 2024, 842 miliardi di dollari. La Francia si appresta a rilocalizzare sul proprio territorio una ventina di produzioni industriali militari. Confermata la vendita Anglo-americana di sottomarini nucleari all’Australia. Ma la magia di metà secolo saranno i super sottomarini ancora allo studio: costo stimato nei prossimi tre decenni tra i 167- e 229 miliardi di euro /Massimo Recalcati: «Confini rafforzati e porti chiusi: così la nostra vita s’impoverisce»/Assemblea di Articolo21, Costante: «Il precariato è il più grande bavaglio all’informazione»
- Reader’s – 14 marzo 2023E’ possibile ingannare i poveri, dando loro la sensazione di volerli aiutare, ma ci vuole arte nel raggiro. Per esempio, come fa il Governo con la riforma fiscale allo studio. Strombazzare che si riducono le aliquote suona bene, perché sembra che si vogliano abbassare le tasse per tutti. E invece è il contrario, perché meno aliquote significa meno progressività. Ovvero allontanarsi dal principio previsto nella Costituzione per far pagare più tasse ai ricchi e meno ai poveri. /In seguito al rientro, annunciato da Roberto Speranza, di Articolo Uno nel PD, il numero due Arturo Scotto è entrato a far parte della Direzione nazionale. Ecco il suo intervento all’Assemblea nazionale /barchi in Italia ed Euro corruzione, trama di Mosca