Rassegna web di nandocan magazine
Giù le mani dal ballottaggio
di Massimo Marnetto
Lo dico alla destra, che – tra le altre deleterie proposte per accentrare il potere nazionale sul presidente o sul premier – vuole anche abolire il doppio turno nelle elezioni locali, abbassando al 40 per cento la soglia per essere eletti.
Sono contrario perché una seconda votazione tra i due migliori dà la possibilità a noi elettori di esercitare la capacità personale di mediazione – la facoltà politica più faticosa e costruttiva – proprio quando manca un candidato ideale.
Dicono che con un’unica votazione tutto sarebbe più semplice e veloce. E’ bene diffidare di chi propone di scambiare la democrazia con la praticità. Una regressione autoritaria è sempre favorita da chi pensa che la partecipazione sia solo disordine, maggiori costi e perdita di tempo.
Livio Zanotti ha inviato da Buenos Ayres una sua analisi della crisi dei sistemi presidenzialisti in America. Uno stato di sofferenza, aggiungo io, che dovrebbe insegnare qualcosa anche ai presidenzialisti di casa nostra, a cominciare da quelli al governo. In America, una crisi “effetto delle inadeguatezze della politica e delle sue distorsioni. I danni immediati e i rischi già ben visibili per un futuro più che prossimo”.
Il presidenzialismo in America vacilla
di Livio Zanotti
Nella disputa sempre più serrata, il primo punto di condivisione -solo in apparenza ovvio- è che i sistemi presidenzialisti non portano con loro nessun prodigio: possono funzionare oppure no, tanto quanto quelli parlamentari. Il secondo è che in America Latina – ma perfino negli Stati Uniti – zoppicano ormai a tal punto da far temere un qualche collasso della democrazia.
Sono le due conclusioni fin qui fatte proprie dall’acceso dibattito latino-americano sull’ estesa ed evidente crisi del presidenzialismo. Che nel rispetto delle diverse esperienze storiche, coincide adesso temporalmente con quello italiano sulle insufficienze del nostro sistema parlamentare. E in entrambi gli emisferi americani così come su tutt’e due le sponde atlantiche coinvolge ricerca accademica e confronto politico fin da prima del dirompente finale dell’amministrazione Trump a Washington.
Corruzione in forte aumento
La vastità geografica e giuridica dei sistemi presidenzialisti esistenti facilmente lascia intuire le loro innumerevoli diversità e versioni. A tenerli nominalmente insieme, nel quadro di una netta separazione dei poteri repubblicani, è l’elezione popolare diretta del Presidente. Al quale oltre quella dello stato viene affidata anche la guida del governo, senza bisogno di un’apposita approvazione del Parlamento. Questo suo comunque poderoso rafforzamento, però, viene più o meno marcatamente condizionato nei vari paesi dalle altrettanto varie e numerose prerogative riconosciute invece ad altri poteri dello stato: il legislativo e il giudiziario in primis. Negli ultimi decenni, ad esempio, le correzioni costituzionali apportate in America Latina sono state quasi tutte in favore di una maggiore capacità d’intervento del potere giudiziario. Allo scopo di fronteggiare una corruzione percepita in forte aumento dall’opinione pubblica.
In Cile
In Cile, la redazione in corso della nuova Charta Magna dovrà determinare i limiti d’intervento del governo sui diritti dei popoli originari rispetto alle terre ancestrali da essi rivendicate e quelli di tutti i cittadini per quanto riguarda sanità e istruzione pubblica. Con i poteri del capo dello stato e del governo sono quindi in gioco lo spirito democratico e la convivenza di tutti i cileni. Un nodo storico che stringe l’intero subcontinente.
…e altrove non ha una vita facile
Due noti specialisti internazionali di sistemi politici, la peruviana Maria Milagros Campo e il cileno Christofer Martinez, hanno compilato una graduatoria dal più al meno dei poteri reali e diretti riconosciuti dalle rispettive carte costituzionali ai presidenti di 20 paesi latino-americani. Ma il colombiano Gustavo Petro, che vi è indicato teoricamente come il più potente di tutti, ha appena disfatto e ricomposto di nuovo il suo gabinetto perché le riforme da lui proposte non fanno un passo avanti. Al secondo in graduatoria, Lula, il Congresso di Brasilia non ha fatto passare a tutt’oggi neanche una legge.
Vale anche per John Biden
Del resto, non ha una vita più facile Joe Biden. Condizionati dai loro pasdaran al Senato e alla Camera dei Rappresentanti, i repubblicani gli hanno impedito finora di adeguare all’aumento della spesa il tetto del debito pubblico storicamente già rivisto decine di volte (attualmente è pari al 120 per cento del PIL). Si tratta d’una pratica corrente ovunque: le opposizioni pretendono in cambio cospicui favori. Ma stavolta a Washington giocando con il fuoco, perché se non trovano l’accordo entro il mese prossimo gli Stati Uniti vanno in default e non c’è bisogno di ricordare che le conseguenze provocherebbero una catastrofe mondiale.
Prove di forza tra esecutivi e legislativi
E’ un altro esempio delle prove di forza in corso tra esecutivi e legislativi d’ogni continente. Mostra i limiti del presidenzialismo quando non dispone di una propria maggioranza parlamentare, come ormai accade quasi sempre e ovunque. Aiuta a comprendere come alla questione istituzionale sia collegata l’urgenza di un’adeguata legge elettorale. Poiché, eccone il fondo: la questione istituzionale è una questione sociale.
La questione istituzionale è una questione sociale.
All’origine delle sempre maggiori difficoltà della politica a governare tanto con il sistema parlamentare quanto con quello presidenziale, c’è la frammentazione globale del mercato del lavoro e conseguentemente dei redditi prodotti. Acuita per contrasto da una preponderante concentrazione finanziaria. L’una e l’altra si riflettono nei comportamenti politici dei cittadini, sui livelli della loro partecipazione alla vita pubblica, su una frequente e abnorme volatilità del voto (tutti corrispettivi delle società liquide). Determinando per i partiti a loro volta parcellizzati la necessità sempre più stringente di coalizioni elettorali, il cui grado di eterogeneità condiziona però la coerenza del programma, le possibilità di realizzarlo.
Per restare in America Latina, pur nella specifica situazione di ciascuno, è questa l’origine delle difficoltà di governo ogni giorno più evidenti con cui si stanno misurando i presidenti Gabriel Boric in Cile, Lula da Silva in Brasile, Gustavo Petro in Colombia, Alberto Fernandez in Argentina, Andrès Manuel Lopez Obrador in Messico.
Estremismo tradizionalista
I disagi sono forti tanto quanto i rischi che comportano. Poiché spingono a estremizzare le opposte alternative e accelerarne la pendolarità, iniettando tensioni crescenti al quadro democratico. Nella fase attualmente in atto a farla da protagoniste sono apparse le nuove destre, iperliberiste in economia ma politicamente dogmatiche. La loro principale componente proviene infatti dall’estremismo tradizionalista cattolico e soprattutto evangelico.
Commistione tra religione e politica
La rinnovata commistione della religione con la politica serve a quest’ultima per camuffare la sua caduta di credibilità con il fideismo mistico della prima. A dispetto del suo nome, il Partito Repubblicano che ha trionfato nelle recenti elezioni costituzionali in Cile ha alle spalle l’Opus Dei. La destra argentina presenta una schiera di dirigenti figli di pastori evangelici. In Brasile sono evangelici e militari a sostenere il bolsonarismo. Fonti anche del ritorno dell’avventurismo caudillista.
L’ostruzionismo sistematico dell’opposizione alle riforme indispensabili al rilancio dello sviluppo sta caricando una bomba a orologeria.
Troppo Zelensky fa male alla causa ucraina
Michele Marsonet su Remocontro
Quasi una espressione di sentimenti, una critica decisa nei confronti del personaggio che il presidente dell’Ucraina martire ha deciso di interpretare, attore abile, convincendosi di esserlo nella realtà. Tanta recita, troppi applausi senza critica, e forzature di protagonismo -sostiene Michele Marsonet, per una volta oltre il suo compassato stile accademico-, che diventano inciampi politici a danno Ucraina e minaccia di guerra più estesa.
L’insopportabile Zelensky
C’è poco da fare. Nonostante i peana irrefrenabili di gran parte della stampa italiana e internazionale, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si dimostra sempre più un personaggio insopportabile (e uso un eufemismo).
Ricevuto in Vaticano da Papa Francesco, forse l’unico che si sforza davvero di promuovere il processo di pace in Ucraina, l’ineffabile presidente in perenne tenuta da guerrigliero ha in pratica preso a schiaffi il pontefice.
Propaganda autoconvinta
Ha subito chiarito, infatti, che la pace gli interessa senz’altro, ma soltanto alle ‘sue’condizioni. È convinto di poter sconfiggere i russi in modo totale, spingendoli fuori dal territorio del suo Stato e recuperando pure la Crimea. Evidentemente dev’essere convinto di essersi trasformato, da ex attore comico, in una sorta di Superman.
Nuova potenza militare
Le condizioni del Paese e del Donbass gli interessano assai meno, a quanto pare. Approfittando del più che generoso aiuto occidentale, considera ormai l’Ucraina una grande potenza militare. In grado di realizzare il progetto, popolare soprattutto in Polonia, di disintegrare la Federazione Russa trasformandola in una costellazione di Stati più piccoli.
Guerra d’offesa
E non è finita qui. Ambienti della intelligence Usa hanno fatto filtrare una notizia inquietante. Dopo aver ricevuto missili a lungo raggio, l’esercito di Kiev intenderebbe attaccare direttamente il territorio russo, inaugurando una vera e propria guerra offensiva. Nonostante questo, sembra imminente la consegna all’Ucraina di caccia avanzati come gli F-16, nonché di missili ancora più potenti in grado di colpire il territorio russo senza problemi.
Timori sul fronte occidentale
Stupiscono, quindi, gli autorevoli atteggiamenti di sostegno italiano senza se e senza ma. E restano da capire i veri intenti dell’amministrazione Biden, lo sponsor più potente del leader ucraino. Il fatto che l’intelligence Usa abbia fatto filtrare le notizie di cui sopra indica, quanto meno, una lotta interna tra falchi e colombe, con i primi che sembrano prevalere sulle seconde.
Insomma, fermare Zelensky sta diventando sempre più arduo e, se il ritmo dei rifornimenti di armi avanzate prosegue sui livelli attuali, potremmo davvero trovarci coinvolti in una guerra europea nella quali i russi, come ultima ratio, potrebbero usare le armi atomiche.
Non sono putiniano
Si spera solo che chi esprime dubbi di questo tipo non venga subito accusato di essere putiniano. Lo zar moscovita ha colpe enormi, ma ciò non significa ignorare la pericolosità del suo antagonista ucraino.
Rai, il Cda nomina Roberto Sergio amministratore delegato. Usigrai: «Tentativo politico di occupare l’azienda»
FNSI SOCIAL
Roberto Sergio, nuovo amministratore delegato della Rai (Foto: ImagoEconomica/Fnsi)SERVIZIO PUBBLICO 15 Mag 2023
Il via libera con tre voti a favore, uno contrario e due astensioni. Indicati Paola Marchesini quale direttrice dello staff dell’Ad e Giampaolo Rossi direttore generale corporate. «Un gioco assurdo che non tiene conto degli interessi dell’azienda», denunciano i rappresentanti sindacali.
Il Consiglio di amministrazione della Rai ha nominato Roberto Sergio nuovo amministratore delegato dell’azienda con decorrenza immediata. È quanto si legge in una nota di viale Mazzini nella quale si spiega che oggi, lunedì 15 maggio 2023, si è svolta «l’assemblea degli azionisti, che ha formalizzato la designazione di Roberto Sergio quale nuovo componente del Consiglio di amministrazione Rai, indicandolo per la carica di amministratore delegato». A seguito di tale indicazione, il Consiglio di amministrazione della Rai, riunitosi successivamente, ha provveduto a nominare Roberto Sergio quale nuovo amministratore delegato.
«Espletate le formalità di rito, nel corso della riunione – conclude la nota – il nuovo amministratore delegato ha comunicato di voler nominare Paola Marchesini quale direttore dello staff amministratore delegato e di voler affidare a Giampaolo Rossi il ruolo di direttore generale corporate, ruolo precedentemente ricoperto ad interim dall’amministratore delegato. Il Consiglio di amministrazione Rai ringrazia l’amministratore delegato uscente Carlo Fuortes per il ruolo svolto».
A maggioranza con due astenuti e un voto contrario
Il nuovo Ad ha ottenuto tre voti a favore, uno contrario e due astensioni, che valgono come un no. A pesare, dunque, il voto favorevole della presidente Marinella Soldi, che in caso di parità vale doppio. A favore anche Simona Agnes, in quota Forza Italia, e Igor De Biasio, in quota Lega. Contraria Francesca Bria, nominata in quota Pd, mentre Alessandro Di Majo, in quota M5S, e il consigliere Riccardo Laganà, eletto dai dipendenti, si sono astenuti.
«La crisi in cui si sta avvitando la Rai e il tentativo politico di occuparla sta tutta nel voto espresso dal Cda di oggi dove la nomina del nuovo Ad Roberto Sergio è passata solo a maggioranza con due astenuti e un voto contrario. Così la nomina da parte del nuovo ad di Giampaolo Rossi come direttore generale fa parte di un copione già scritto che lo vede in questo ruolo solo perché se fosse diventato ad avrebbe dovuto lasciare alla scadenza di questo Cda», commenta l’Esecutivo Usigrai.
- Reader’s – 30 maggio 2023Con zelo degno di miglior causa, la grande stampa si affretta ad attribuire a una segretaria fresca di nomina l’insuccesso alle recenti amministrative. Trascurando il particolare che altro è guidare un partito al governo e altro all’opposizione. / Effetto Elly per la sconfitta alle amministrative? No, il PD paga ancora l’effetto Renzi. Ovvero un partito indefinito non fuori (alleanze), ma dentro (obiettivi). Come se ne esce? (Marnetto) / Sono disposti gli americani a sacrificare per l’impero? Questo uno degli interrogativi chiave del nostro tempo. La domanda su Limes e le risposte ragionate di Federico Petroni in una non facile sintesi senza nostri tradimenti, speriamo. / L’importanza e la verità dei miti (Lamagna)
- Reader’s – 29 maggio 2023. Rassegna web di nandocan magazineDomenica da morituri, su Rai3. Fazio saluta a esequie avvenute; Annunziata dopo le dimissioni è spacciata; e neanche Augias e Zanchini stanno tanto bene. /F16 all’Ucraina, non ‘l’arma miracolosa’: riciclo dell’usato a ripristino Usa e spese europee (Remocontro) /Lettera aperta a Fausto Bertinotti (Lamagna)
- Reader’s – 29 maggio 2023. Rassegna web di nandocan magazineSono gli stessi ragazzi raccontati come sfaticati, quelli che mentre i governanti tagliano boschi e cementificano le aree alluvionali, asfaltando anche sentieri più sentieri, si pongono il dubbio del futuro, del loro futuro. Sono quelli che mentre il ceto politico del Paese affastella condoni e altre forme di costruzioni assurde, ponti inutili e opere faraoniche, getta vernice lavabile per dire al mondo: ci siamo anche noi. E mentre sale l’onda mediatica del disprezzo per azioni simboliche per il bene comune di tutti, crescono i silenzi sulle cause dello sfacelo italiano, ribadisco: sfacelo culturale, amichettistico, ambientale, affaristico. / MELONI: “Libereró la cultura dal potere intollerante della sinistra”(Squizzato) / Statue di fango (Marnetto) /Le uniche regole a cui dovrebbe obbedire la nostra coscienza.(Lamagna)
- Reader’s – 27 maggio 2023Personaggi in vetrina.I colleghi che mi hanno conosciuto in RAI in tempi remoti, a cominciare da quelli del Tg2 come Sergio Criscuoli, sanno quanto il tema da lui indicato nel titolo che segue mi sia familiare. Aggiungo allora una mia breve considerazione ai commenti pubblicati in questi giorni sull’uscita dall’azienda di “personaggi televisivi ad alto indice di gradimento”. Una lunga esperienza mi dice che la popolarità di questi ultimi si raggiunge molto difficilmente, per non dire mai, senza meriti professionali ma neppure in assenza di una carriera, breve o lunga che sia, affidata al compromesso con metodi e sistemi oggii variamente esecrati…/RAI: uomini, donne, stagioni e “costituzione materiale” (Criscuoli) / La madonnella degli evasori (Marnetto) /La mafia all’ombra della guerra. Timori Usa sull’intraprendenza dei servizi segreti ucraini (Remocontro) / Noi e la vecchiaia (Lamagna)
- Reader’s – 26 maggio 2023ANCHE LA DESTRA OCCUPA LA RAI. Lo sapevamo. L’occupazione della RAI da parte del governo di destra, con la nomina dei nuovi vertici delle testate giornalistiche (gli altri seguiranno a scala), era soltanto questione di tempo. Questo infatti prevede la riforma Renzi, che affida tutti i poteri a un A.D. indicato da Palazzo Chigi, aggravando ulteriormente quella lottizzazione politica da parte dei partiti di maggioranza che è storia di sempre.Per l’Usigrai le nomine di ieri sono “inaccettabili e senza prospettiva” / INTANTO (Marnetto) / Venti anni di armi italiane in Medio Oriente e Nord Africa (Remocontro)