Sottrarsi al tempo delle perline colorate

Antonio Cipriani su Remocontro
Il canto più bello è quello degli uccelli nel silenzio. Ma prima dobbiamo avere il silenzio. Così scrive Wandell Berry, scrittore, poeta, ambientalista del Kentucky, autore di “Mangiare è un atto agricolo”.
Per sapere ascoltare un canto, occorre trovare il silenzio, sottrarsi dal rumore di fondo che rende le nostre vite incessanti, obbedienti, caotiche, ricche talvolta, spesso disperate ma scintillanti, sostanzialmente piene di dimenticanze e di bruttezza, di specchietti per allodole e chincaglierie che vecchi e nuovi conquistadores continuano a farci brillare davanti agli occhi sbigottiti. Con una tale pertinacia e perfidia che la vita, quella cosa meravigliosa che possediamo, passa in secondo piano di fronte alla manfrina che nella società dello spettacolo è diventata la realtà stessa. Nonostante tutto, nostro malgrado, contro ogni forma di verifica accettabile.

Ne ascolto l’armonia, vale per ogni tempo e per ogni spazio. Respirando l’aria serena di sostanza sferzante. Non ci sono alternative, camminiamo in bilico tra memoria e futuro, ad ogni passo perdiamo qualcosa o salviamo qualcosa. Siamo noi i responsabili sacri della pietra, del sogno, della luna, del vento che agita coscienze e rende improvvisi gli sguardi.
Siamo noi i custodi delle radici, degli alberi, della linea dell’orizzonte, della solitudine e della semplicità, di ciò che è spirituale, che ha a che fare con lo spirito, con l’immateriale, con la capacità di pensare la vita non come una successione banale e formattata di azioni, di successi legati a queste azioni obbedienti, inculcate per annullare in un colpo solo la magnificenza del ricordo e dell’utopia, del passato sul quale poggiamo i piedi e del domani per chi verrà.
Quando le manfrine diventano trappole, e la vita rischia di essere in ostaggio di queste trappole, come per il canto degli uccelli è necessario riscoprire il silenzio. Saper dire di no, spostare l’asse dei pensieri fuori dai binari che implicano conformismo e ripetizione astratta e durevole di azioni nefaste; riprendere a tessere le parole semplici, le narrazioni che fanno bene al cuore, dividendo il grano dal loglio, lasciando cadere ciò che ci fa male, recuperando spazio e desiderio, consapevolezza su ciò che serve per vivere. Il poco e il niente. Non il troppo e l’ingiusto.
Bisogna smetterla di celebrare eroi ed eroismi, tanto più se sono farlocchi, figli di codici dettati contro i nostri interessi. Conservare nel cuore la cura per quello che rende la vita semplice e dolce. Amara, tragica, fiaccante, sublime, piena di risate o anche di lacrime che sanno di sale e di rabbia. La vita insomma che non è quella cosa in ostaggio dei media e della mostra perenne di chi ha successo e quindi ha un diritto in più di renderci l’esistenza piatta e patetica.
Spetta a noi, qui e ora, risalire la strada scoscesa e dire di no. Per coltivare cultura e agire per salvare il mondo. Salvare i nostri figli, salvarci dalla brutalità del senso comune, dalla ferocia dell’interesse privato che è sempre scintillante e sempre cela distruzione simbolica, per lo meno, del bene comune. I nostri padri hanno faticato, hanno dato il sangue, si sono spaccati la schiena, sono stati poveri, hanno vissuto di espedienti. Non vuol dire che noi dobbiamo buttare tutta questa bellezza, la poesia della storia, la creatività dell’arte sublime per una vasca da idromassaggi.
Spetta a noi sottrarsi al tempo delle perline colorate, alla svendita di tutto, alla celebrazione della banalità, all’esaltazione del principio brutale del vantaggio e alla perdita del bene comune che definisce il territorio abitato da una comunità come spazio pubblico di incontro e di cultura.
Se perdiamo il concetto politico di spazio pubblico, perdiamo il futuro. Occorre tenere accesa la fiammella! Anche in tempi oscuri e fragorosi come questi.
Caro Antonio, mi perdonerai se per sottolineare la sintonia con quanto scrivi oggi sul tuo “Polemos”, cito questa mia videopoesia, “La casa del silenzio”, pubblicata un paio d’anni fa.
Avviare ora trattative di pace
titola oggi Marnetto e credo che lo stesso invito farebbe la maggior parte degli esseri umani in questo pianeta. Peccato che manchi ancora la buona volontà dei cobelligeranti e/o dei loro mandanti o alleati, ai quali la proposta di sostituire Erdogan con Angela Merkel con il rischio che faccia sul serio non pare proprio una buona idea. D’altronde, l’idea non è nuova. Se fosse condivisa, chi più e meglio dell’Unione Europea avrebbe i titoli per portarla avanti? (nandocan)

di Massimo Marnetto
Sono stato favorevole all’invio di armi alla resistenza ucraina, così come vedo con favore la positiva controffensiva in atto. Ma proprio questo parziale riequilibrio è il momento più favorevole per avviare trattative di pace. Non delegandole all’opportunista Erdogan, ma schierando l’Europa con la nomina di un Commissario ad hoc per le trattative di pace. Angela Merkel sarebbe la persona più indicata per spessore ed esperienza (e conoscenza del russo). E anche perché una donna tra due uomini in conflitto è psicologicamente una presenza disaggressiva.
Ma occorre far presto. Prima che Putin, colpito nell’orgoglio, reagisca con mosse azzardate, come il bombardamento di un’ala della centrale nucleare di Zaporizhzhia per provocare una prima nube tossica di avvertimento. Questa pace è un interesse strategico dell’Europa non solo per il gas, ma per la necessità di intrattenere relazioni stabili con la Russia. Un processo di pace ha bisogno di un ”agente”, che faccia la spola tra Kiev e Mosca (e Pechino), fino a portare i contendenti attorno ad un tavolo. Agiamo ora per la pace. Senza paura di fallire, perché il solo fallimento è non averci provato.