Maggio 1921

Roma, 24 maggio 2021 – “Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio…”Ce lo facevano cantare anche a scuola. La data funesta in cui l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale. Di quei trentasette milioni di morti di ambo le parti, quasi 700mila furono italiani, soldati e civili, i primi mandati a morire come mosche tra le nevi alpine senza l’approvazione del Parlamento e della maggioranza dei cittadini. Quell’inutile strage, come la definì il Papa di allora, venne poi, se non dimenticata, dissolta nella retorica di Vittorio Veneto e della “vittoria mutilata” di D’Annunzio e di Mussolini.

Ma il maggio che voglio ricordare oggi è quello di sei anni dopo, il maggio 1921, quando si svolsero le elezioni politiche che assicurarono un significativo passo avanti all’estrema destra fascista, 40 deputati su 535. E lo ricorderò con una pagina tratta dalla memoria autobiografica di un grande parlamentare socialista, Emilio Lussu, “Marcia su Roma e dintorni”. Al governo del Paese reduce da un’epidemia, la “spagnola”, che aveva causato decine di migliaia di vittime, lacerato dalle divisioni sull’entrata in guerra ma ancor più dal conflitto sociale (il “biennio rosso”), era tornato per la quinta volta un vecchio liberale centrista, Giovanni Giolitti.

Lo sdegno postumo degli operai contro la guerra

“Io ho assistito – scriverà Emilio Lussu nel 1931 – ad alcune di queste manifestazioni contro la guerra. Per quanto scomposte, erano veramente grandiose. Nessun paese, più dell’Italia, ha espresso contro la guerra tanto sdegno postumo. Se in Italia le masse operaie avessero espresso, prima dell’inizio delle ostilità, una minima parte di quell’avversione che manifestavano a guerra ultimata, è certo che la guerra non si sarebbe mai fatta…

“Il blocco del governo uscì vittorioso dalle elezioni ma con debole maggioranza. Il fascismo aveva fatto progressi. Mussolini era stato eletto nella sua circoscrizione con 170.000 voti. 36 deputati fascisti entrarono con lui alla camera. Di fronte a 500 deputati non erano molti. Ma la loro forza era nell’azione, in un momento in cui tutti si pascevano di parole.”Noi non saremo un gruppo parlamentare, ma un plotone di azione e di esecuzione, – aveva proclamato Mussolini, subito dopo le elezioni. Ne dettero immediatamente prova all’apertura della nuova Legislatura, cacciando dalla Camera il deputato comunista Misiano

Emilio Lussu

L’indulgenza dei liberali per Mussolini

“…Si incominciava dei comunisti. Poi doveva venire il turno dei socialisti, dei cattolici, dei democratici e dei liberali. Questi ultimi, ignari del loro turno, atteggiandosi a giudici imparziali, commentavano con molta indulgenza. Nella Camera si respirava un’atmosfera di guerra. La discussione sull’indirizzo di risposta al discorso della Corona fu violenta. Nel paese continuavano scioperi e conflitti tragici tra fascisti, socialisti e cattolici.

“L’on. Mussolini parlò per la prima volta alla camera il 21 giugno. Aveva preso posto nell’ultimo scanno di destra, dove mai nessuno prima di lui aveva osato sedere. Staccato dagli altri, così in alto, sembrava un avvoltoio accovacciato su una rupe. ‘Vi dichiaro subito che il mio sarà un discorso di “destra”. Sarà un discorso reazionario perché sono antiparlamentare, antidemocratico, antisocialista’. I socialisti gli ricordarono di essere stato per vent’anni socialista. Mussolini li guardò con disprezzo. Poi continuò:

“Ed essendo antisocialista, risolutamente sono antigiolittiano’. A questo punto la protesta fu dell’on. Giolitti. Il vecchio parlamentare lo guardò sorpreso e sembrò volesse chiedergli: a che gioco giochiamo? Infatti erano ben stati compagni di lista, pochi giorni prima. Mussolini criticò la politica estera e la politica interna del governo. ‘lo Stato deve essere ridotto alla forma più semplice. Esso deve avere un buon esercito, una buona polizia, un ordinamento giudiziario che funzioni bene, fare una politica estera intonata alle esigenze della nazione: tutto il resto deve essere abbandonato all’attività privata”.

A futura e forse dimenticata memoria

Con le dovute distinzioni, se potessi immaginare un Andreotti anticlericale, quello potrebbe essere Giovanni Giolitti. Né “il bolscevico dell’Annunziata”* come l’aveva definito Luigi Albertini sul Corriere della Sera, dopo l’apertura da lui fatta ai socialisti per una patrimoniale progressiva e la nominatività dei titoli. Né “il ministro della malavita” come lo aveva schernito il meridionalista Gaetano Salvemini per la disinvoltura con cui accettava il sostegno della criminalità organizzata nel Mezzogiorno.

Giolitti era invece un politico di centro, liberale e conservatore, che del pragmatismo aveva fatto la sua morale, destreggiandosi tra destra e sinistra per mantenersi al potere. Nelle ore cruciali della Marcia su Roma era già pronto a tornare per la sesta volta al governo con una rappresentanza dei marciatori. Il veto dei popolari di don Sturzo glielo impedì. E ambedue finirono per appoggiare il primo governo Mussolini. Oltre che ad approvare in seguito quella vergognosa legge Acerbo che assegnò un premio di maggioranza, di ben due terzi dei seggi, al partito che alle elezioni politiche avesse ottenuto il 25 per cento dei voti. A futura e forse già dimenticata memoria.

*Giolitti era stato insignito dal re dell’”Ordine dell’Annunziata”

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