Come è ormai consuetudine molto apprezzata di questo blog, pubblico oggi – a scopo divulgativo, raccomandando ai più interessati la lettura integrale – alcuni brani di un’approfondita analisi apparsa col medesimo titolo sul numero appena uscito della rivista di geopolitica Limes. Autore è il generale di Corpo d’armata Fabio Mini, ex capo di Stato maggiore del Comando NATO per il Sud Europa e venti anni fa al comando delle operazioni di pace a guida NATO, compresa quella svolta nei Balcani durante la Guerra in Kosovo . Commentatore di questioni geopolitiche e di strategia militare, scrive per Limes, la Repubblica e l’Espresso, è membro del Comitato Scientifico della rivista Geopolitica[2] ed è autore di diversi libri. Dal novembre 2015 collabora con Il Fatto Quotidiano.
25 anni di avanzata NATO nell’Europa orientale*
Ormai sono anni che nella parte continentale dell’Europa la Russia deve ingoiare i continui rospi forniti dagli americani e dalla Nato. L’offensiva Usa-Nato iniziata trent’anni fa, fatta di provocazioni, umiliazioni, erosione di territori, destabilizzazione ai confini e sostegno all’eversione interna deve essere affrontata anche sul piano della sicurezza e della potenza militare.
A partire dal 1997 ci sono stati vari cicli di ammissione di nuovi membri, fino all’adesione della Macedonia nel 2018, che hanno portato a trenta i membri dell’Alleanza e a chiudere la Russia su tutti i lati tranne quello ucraino. Oggi tutti assistono stupiti al fatto che la Federazione è in grado di far valere i propri diritti e soprattutto le ragioni della propria sicurezza.
Idealismo liberal
Stephen Walt, editorialista di “Foreign Policy”e professore a Harvard ha recentemente scritto che «la grande tragedia è che tutta questa vicenda era evitabile». «Se gli Stati Uniti e i loro alleati europei non avessero ceduto all’arroganza, all’illusione e all’idealismo liberal e si fossero invece affidati alle intuizioni fondamentali del realismo, la crisi attuale non si sarebbe verificata. Infatti, la Russia probabilmente non avrebbe mai preso la Crimea, e l’Ucraina sarebbe più sicura oggi. Il mondo sta pagando un prezzo alto per aver fatto affidamento su una teoria errata della politica mondiale».
«È un luogo comune in Occidente», scrive Walt, «difendere l’espansione della Nato e dare la colpa della crisi ucraina solo a Putin. Ma Putin non è l’unico responsabile della crisi in corso, e l’indignazione morale per le sue azioni o il suo carattere non è una strategia. Né è probabile che sanzioni maggiori e più dure lo inducano a cedere alle richieste occidentali. Per quanto spiacevole possa essere, gli Stati Uniti e i loro alleati devono riconoscere che l’allineamento geopolitico dell’Ucraina è un interesse vitale per la Russia, che è disposta a usare la forza per difenderlo. E questo non perché Putin è uno spietato autocrate con una nostalgica passione per il vecchio passato sovietico.
Le grandi potenze non sono mai indifferenti alle forze schierate ai loro confini
Le grandi potenze non sono mai indifferenti alle forze geostrategiche schierate ai loro confini e la Russia si preoccuperebbe profondamente dell’allineamento geopolitico dell’Ucraina anche se qualcun altro fosse al comando. L’indisponibilità degli Stati Uniti e dell’Europa ad accettare questa realtà di base è una delle ragioni principali per cui il mondo è in questa crisi oggi».
L’Ucraina è oggi lo specchio di ciò che gli Stati Uniti, la Nato e l’Europa hanno fatto alla Serbia (al tempo Repubblica Federale di Jugoslavia comprendente il Montenegro) in e per il Kosovo.
Erano tutti «liberal» quelli che fecero fallire i colloqui di Rambouillet per attaccare la Serbia, quelli che s’inventarono la catastrofe umanitaria per legittimare l’aggressione armata chiamandola «ingerenza umanitaria». Erano idealisti quelli che bombardarono la Serbia per settanta giorni e con il pretesto umanitario inviarono contingenti militari a occupare il Kosovo, con un’operazione di «pace» che dura da 24 anni e che non ha ancora permesso una soluzione ragionevole, razionale e concordata per la stabilizzazione definitiva. Erano idealisti quelli che hanno riconosciuto l’autoproclamazione della Repubblica del Kosovo, sottraendo alla sovranità di Belgrado il cuore della cultura slava.
Allora è idealista anche Putin
Allora, è idealista anche Putin che con l’Ucraina ha fatto proprio il «modello Kosovo» inventato da noi e che tuttavia anche con l’invasione non ha ancora raggiunto la ferocia di uno di quei settanta giorni di bombardamenti che noi destinammo alla Serbia. Ovviamente un cattivo esempio non può essere seguito come uno buono. E quindi non sono «canaglie», ma saggi realisti, quei paesi che subiscono ricatti e sanzioni dagli Stati Uniti perché si rifiutano di riconoscere l’indipendenza del Kosovo. Sanno che facendolo avallerebbero in modo palese le pretese secessioniste all’interno dei propri Stati.
Se il «modello Kosovo» della Nato copiato da Putin diventasse una prassi la Cina se la dovrebbe vedere con le pretese uigure, tibetane e di Hong Kong e noi ce la dovremmo vedere con i nostri separatisti del Nord o gli indipendentisti borbonici. Si può essere certi che la Cina non riconoscerà l’indipendenza delle due repubbliche del Donbas e così faranno altri paesi occidentali o ipocritamente «idealisti».
La situazione politico-militare
Per quanto riguarda la situazione politico-militare, nelle prime fasi gli eventi si stavano sviluppando in due direzioni non divergenti. La prima, sanzioni per la Russia e risposta di Mosca con annessione referendaria del Donbas. Quindi, passaggio alla guerra diretta tra Russia e Ucraina. La seconda, provocazione della Nato e/o di Gran Bretagna e Norvegia che, con il pretesto di difendere le repubbliche baltiche e la Polonia, avrebbero potuto attaccare in un modo qualsiasi le forze russe o bielorusse. Quindi, guerra diretta fra Russia e Nato.
In entrambi i casi vi è la certezza di una forte crisi economica ed energetica in Europa e della conseguente frattura interna alla stessa Unione e alla Nato. Le due strade conducevano al disastro ma potevano essere bloccate: la prima impedendo l’annessione nel Donbas; la seconda impedendo qualsiasi strumentalizzazione o pretesto della Nato.
Questa volta, però, sono venuti allo scoperto coloro che nell’ambito dell’Alleanza non hanno mai voluto né pace né sicurezza in Europa. La Gran Bretagna, che continua a forzare gli eventi e con accordi bilaterali coi paesi dell’Europa settentrionale sta destabilizzando l’intero confine Nord della Russia. La Polonia, per cui Italia, Germania e Ungheria avrebbero «disonorato» l’Europa per non aver soddisfatto le richieste (di chi?) di sanzioni più pesanti nei confronti della Russia.
Il confronto politico-strategico Russia e Stati Uniti
Al livello politico-strategico Russia e Stati Uniti devono confrontarsi su una base concreta e la migliore in questo momento è l’impegno russo a non proseguire la pressione militare, a non annettere le repubbliche del Donbas e consentire all’Ucraina e alle stesse repubbliche di chiedere l’accesso all’Unione Europea.
A questo si affianca l’impegno degli Stati Uniti a impedire alla Nato ulteriori espansioni in Europa e invitare l’Ucraina a riconoscere l’indipendenza delle due repubbliche del Donbas la cui stabilizzazione potrà essere garantita da una forza diretta dalle Nazioni Unite. Infine è necessario l’impegno di entrambi a sospendere e ridurre gli armamenti e gli schieramenti militari in Europa e ripristinare le misure di fiducia reciproca a suo tempo attuate nel controllo degli armamenti.
Unione europea e Cina
Da parte sua, l’Unione europea deve essere «riformata» e più aperta verso il centro euroasiatico. La Cina, in questa fase, può essere lasciata fuori dai contatti diretti ma può agire in ambito Onu e altrove come equilibratrice e mediatrice tra le posizioni statunitensi e quelle russe.
In ogni caso è necessaria una dose di grande lucidità e buon senso per uscire da una situazione veramente grave, non soltanto perché in gioco ci sono un po’ di poltrone del potere e qualche gasdotto. Le condanne dei nostri governi per l’invasione sono ampiamente giustificate da un’azione che, pur fotocopiata sui modelli Nato, rimane inaccettabile.
La strategia russa
La strategia russa, contrariamente a quella della Nato di due decenni fa, ha scopi e orizzonti temporali chiari. Il primo, a lungo termine, è il riassetto della sicurezza in Europa; il secondo, limitato, è la garanzia «legale» della non adesione dell’Ucraina alla Nato; il terzo, anch’esso limitato, è il riassorbimento dei territori russofoni o etnicamente russi controllati da paesi «ostili» o vessatori nei confronti della popolazione russa. Il quarto è garantire la libertà di movimento nelle zone costiere e marittime di tutta la Russia.
Di fronte all’inutilità e all’indisponibilità sostanziale degli Usa, della Nato e dell’Unione Europea a rivedere le loro posizioni sull’Ucraina, la Russia ha scelto l’opzione del riconoscimento delle repubbliche separatiste come primo passo per la conclusione a «modo suo» della guerra nel Donbas. Una guerra che dura da otto anni e che non si è mai fermata nonostante gli accordi di Minsk. Una guerra che l’Ucraina avrebbe voluto risolvere «a modo suo» coinvolgendo l’Europa, la Nato e in particolare Stati Uniti e Gran Bretagna trascinandovi il mondo.
L’invio di miliardi di dollari, armi, consiglieri e truppe occidentali in Ucraina è iniziato prima della crisi nel Donbas e perfino prima dell’annessione russa della Crimea.
Il riconoscimento delle repubbliche separatiste è stata un’azione prettamente politica largamente prevedibile e prevista. E tale era anche l’azione militare successiva a sostegno del recupero dei territori del Donbas, visto che Stati Uniti e Nato hanno sempre parlato d’invasione. Anche quando i separatisti erano veramente soli e soggetti alle angherie ucraine.
Prevedibile il riconoscimento delle repubbliche separatiste
La Nato non ha mai sottovalutato l’importanza strategica che l’allineamento dell’Ucraina ha per Mosca e per questo l’espansione è stata ancor più deliberata e provocatoria.Ma durante questa crisi ha anche messo in connessione la questione ucraina con quella del Baltico. Di fatto, l’ammissione dell’Ucraina nella Nato servirebbe a togliere territori cuscinetto alla Russia e a costituire una copertura militare Nato dal Baltico al Mar Nero.
Per ora, Mosca sta pensando a sistemare la questione ucraina unicamente sotto il profilo dell’ingresso nella Nato. Se riuscisse in breve tempo a strappare un accordo sufficientemente dignitoso potrebbe ritirare le truppe e capitalizzare i risultati. Se invece gli stessi negoziati si trasformassero in pretesti dilatori, la Russia dovrà cedere e uscire sconfitta dal quadro internazionale o giocare la misteriosa carta della «reazione nemmeno immaginabile» anticipata nell’avvertimento alla Nato.
La «reazione nemmeno immaginabile»
Una frase sibillina e preoccupante, quella di Putin, perché il rischio che con un pretesto un alleato qualsiasi intervenga in Ucraina è molto elevato. Lo stesso Biden ha avvertito chi lo tira per la giacchetta sulla questione delle sanzioni che l’alternativa è la terza guerra mondiale. E se questo è vero, è anche vero che i missili intercontinentali nucleari di tutto il mondo hanno già ricevuto la programmazione degli obiettivi. La Polonia ha chiesto che vengano schierati sul suo territorio armi nucleari e la Bielorussia ha già detto che se ciò accadesse vorrebbe da Putin altrettante armi.
Ma allora cos’è che non possiamo nemmeno immaginare? La risposta è lapalissiana: l’inimmaginabile è tale perché è inimmaginabile, bisogna solo preoccuparsi e basta. Magari è proprio quello che Putin vuole.