da “L’evoluzione di Dio” di Robert Wright*
In un certo senso il verbo si fa carne
Ciò che cresce è l’immagine che di Dio hanno gli uomini, non Dio in se, il quale, per quanto ne sappiamo, potrebbe anche non esistere. Tuttavia questa crescita di Dio potrebbe essere la prova, se non di un Dio con la D maiuscola, di un intento più elevato in un qualche senso della parola…E, indubbiamente, il Gesù del Vangelo di Giovanni è un grande fautore dell’allargamento degli interessi morali, e quindi dell’amore fraterno. “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri”.
Perché è stata l’espansione dell’organizzazione sociale, e il conseguente intrecciarsi delle etnie in un gioco a somma non zero – il Logos in azione – che ha spinto Paolo a porre l’accento sull’amicizia interetnica e i cristiani che più tardi misero questo messaggio sulle labbra di Gesù. Quando i cristiani evocano la loro immagine di Gesù, rendendo di carne il messaggio dell’amore, in un certo senso il verbo – il Logos – si fa carne.
Il docetismo: Gesù era puro spirito
Si può fare un confronto con un’antica dottrina legata allo gnosticismo e considerata per molto tempo eretica: il docetismo. Secondo il docetismo, Gesù non era realmente fatto di carne e sangue: era puro spirito, e la sua parte materiale era un fantasma, una sorta di illusione (in un antico racconto docetico della crocifissione, mentre è sulla croce Gesù ride: non sente dolore, dal momento che non ha un corpo).
Nello scenario docetico, però, la venerazione per il modo in cui appariva Gesù è autentica, perché quell’apparenza, per quanto illusoria, era un’illusione appoggiata da Dio e, di conseguenza, era una vera manifestazione del divino.
Lo stesso vale per la teologia del Logos: venerare Gesù come lo immaginano i cristiani significa, per un verso, venerare una costruzione dell’immaginazione, ma, per un altro verso venerare una manifestazione del divino. Potrebbe essere che il Gesù conosciuto dai cristiani sia tanto un’illusione che il vero volto di Dio.
In che modo Gesù è diventato il Salvatore
Quando (i cristiani) chiamano Cristo “il salvatore”, non parlano della salvezza della società e neanche della salvezza fisica del singolo, ma piuttosto della salvezza dell’anima del singolo dopo la morte. Il nocciolo del messaggio cristiano è che Dio inviò suo figlio per preparare la strada alla vita eterna.
Sotto questo profilo, Gesù è un essere celeste che controlla l’accesso in paradiso. È “seduto alla destra del padre” e “giudicherà i vivi e i morti”, come si dice nel credo di Nicea, un documento fondamentale del cristianesimo antico, che ancora oggi rappresenta il comune denominatore tra chiesa cattolica romana, chiesa ortodossa orientale e la maggior parte delle chiese protestanti.

Osiride
Osiride, che per millenni era stato un importante divinità egizia, presentava una notevole somiglianza con il Gesù descritto nel credo di Nicea. Abitava nell’aldilà, e lì giudicava le persone appena morte, assicurando la vita eterna a coloro i quali credevano in lui e vivevano secondo le sue regole.
Da qui la buona notizia per gli evangelizzatori cristiani: il fatto che Osiride si fosse affermato nell’impero romano indicava una diffusa necessità di una figura divina di questo tipo, una nicchia piuttosto ampia che un personaggio come Gesù avrebbe potuto riempire.
Un certo tipo di vita eterna potrebbe benissimo aver fatto parte del messaggio originale di Gesù, come potrebbe invece non averne fatto parte, e in ogni caso i dettagli della storia – la parte sul paradiso, per esempio – hanno subito dei cambiamenti nei decenni successivi alla crocifissione.
Il modo in cui prese forma la storia oggi considerata ufficiale rappresenta un caso ben rappresentativo di come Dio si evolve per soddisfare le esigenze psicologiche dei suoi seguaci, nonché le sue stesse esigenze di sopravvivenza.