3. La comparsa del monoteismo abramitico

da Robert Wright: l’evoluzione di Dio*

Il politeismo dell’antica Israele

Nell’episodio del primo libro dei Re, Dio usa il suo “dolce sussurro” per spiegare a Elia come fare a uccidere ogni adoratore di Baal dei dintorni. Poi, a distanza di un capitolo, dopo che alcuni Siriani hanno espresso dei dubbi sul potere del dio ebraico, Jahvè sottolinea la loro confusione facendone morire centoventisettemila. Questo dio poteva anche parlare in un sussurro, però usava il pugno di ferro.

Ovviamente, una critica diffusa al monoteismo originatosi in Medio Oriente si basa sulla constatazione che la sua teologia diede luogo a un’intolleranza belligerante. Qualcuno la considera addirittura una caratteristica intrinseca del monoteismo: mentre i politeisti non contestano il valore delle divinità degli altri popoli, secondo questa accusa i monoteisti ferventi sono allergici alla convivenza pacifica.

Questa, però, non è la vera storia narrata dalla Bibbia o, almeno, non tutta la storia. Leggendo attentamente la Bibbia ebraica, si nota che racconta la storia di un dio in evoluzione, un dio il cui carattere cambia radicalmente dall’inizio alla fine.

Una divinità pragmatica

In effetti, anche nel primo millennio p.e.v., quando buona parte della Genesi, se non l’intero libro, prese forma, Dio era una divinità pragmatica: “piantò” personalmente il giardino dell’Eden, “fece tuniche di pelli” per Adamo ed Eva “e li vestì”. E non sembra che abbia fatto tutto questo mentre si librava in modo etereo sopra il pianeta. Dopo che Adamo ed Eva ebbero mangiato il frutto proibito, secondo la Genesi “udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l’uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino”.

Il fatto di nascondersi potrebbe sembrare una strategia ingenua da adottare nei confronti del Dio onnisciente che conosciamo oggi ma, a quanto pare, allora questo Dio non era onnisciente. Perché “il Signore Dio chiamo l’uomo e gli disse: ‘Dove sei’?”. In poche parole,  a questo punto Jahvè è notevolmente simile alle divinità “primitive” delle società di cacciatori-raccoglitori e dei chiefdom: straordinariamente umano, dotato di poteri soprannaturali, ma non infiniti.

Nella Genesi, l’El cananeo prima del dio israelitico Jahvè.

 Prima di negare l’esistenza di tutti gli dèi che non fossero Jahvè, la religione israelitica attraversò una fase in cui ammetteva la loro esistenza, ma ne condannava il culto (da parte degli Israeliti, se non altro; se i Moabiti volevano adorare Camos, erano affari loro). Tecnicamente, la religione israelitica raggiunse il monoteismo solo dopo un periodo di “monolatria”: la devozione esclusiva a un dio senza negare l’esistenza di altre divinità.

Se si va a guardare bene la parola “Dio” in alcune parti della Bibbia si troverà non la parola ebraica per Jahvè ma piuttosto la parola ebraica El. Considerato il fatto che l’El cananeo compare nella documentazione storica prima del dio israelitico Jahvè, si è tentati di arrivare alla conclusione che Jahvè si sia, in qualche modo, originato da El, e che possa aver cominciato la sua vita come una versione rinominata di El.

Dal politeismo alla monolatria

Acab e Gezabele. Come sempre nel mondo antico l’alleanza con un paese significava trattare con rispetto i suoi dèi. Così se, come dice la Bibbia, Acab costruì un altare per Baal nella capitale d’Israele, Samaria, non si trattò semplicemente di una sorta di concessione alla sua bizzarra consorte: l’iniziativa faceva parte della logica insita nello sposare Gezabele, era l’espressione teologica del fondamento politico alla base del matrimonio. E così era da lungo tempo……Una politica estera “internazionalista”, che dava risalto ad alleanze e scambi commerciali di ampio respiro, esigeva un certo rispetto per le divinità straniere.

Come ha osservato il biblista Bernard Lang, nell’antichità i luoghi di culto svolgevano a volte “diverse mansioni tipiche della moderna banca”, ed è provato che i Fenici usassero il tempio di Baal come quartier generale….Il rapporto con i Fenici era vantaggioso per entrambe le parti, e la teologia di Acab si ampliò di conseguenza. Per gli Israeliti, invece, i cui mezzi di sostentamento erano minacciati dai Fenici, il rapporto con la Fenicia era a senso unico: i Fenici vincevano e loro perdevano. La loro teologia si contrasse di conseguenza. Questa teoria dei “mercanti risentiti” è alquanto congetturale, ma il principio generale è plausibile e lo abbiamo già visto operare nell’antica Mesopotamia e in ogni altro luogo: gli atteggiamenti nei confronti di una divinità straniera possono dipendere da come vengono percepiti gli stranieri.

* “Una lucida analisi di come la dottrina e le pratiche religiose siano cambiate nei secoli, generalmente in meglio”.  Così il Times di Londra annunciava 12 anni fa la pubblicazione da parte di Newton Compton editori del libro di Robert Wright “L’evoluzione di Dio”. Non sono e non saranno molti i testi per divulgare i quali sono disposto a sottopormi alla considerevole fatica di copiare  e presentare i brani che ho ritenuto più significativi. Ho pensato che il saggio di Wright – 480 pagine scritte con grande chiarezza, appassionanti e al tempo stesso ben documentate – ne valesse  la pena. 
Robert Wright ha insegnato filosofia a Princeton e religione all’università della Pennsylvania. E’ membro della New America Foundation e collabora con la rivista “The New Republic”, ma i suoi articoli sono apparsi anche su “Time”, sull’ “Atlantic Monthly” e sul “New Yorker”. Finalista del National Book Critics Circle Award, è autore di saggi selezionati dal “New York Times” fra i migliori libri di quell’anno. Anche “L’evoluzione di Dio” è stato per diverse settimane nella classifica del “New York Times”.  
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