I paesi ricchi dicono di aiutare quelli che in effetti li fanno arricchire. Ed è una realtà generale osservabile non solo a livello di rapporti nord- sud ma anche a livello regionale, per esempio in Europa
da “una breve storia dell’uguaglianza” di Thomas Piketty*

* Di questo libro ho pensato di proporre gradualmente sul blog, a scopo divulgativo, i brani che ritengo più significativi. La pandemia come la crisi politica, economica e ambientale che l’ha preceduta e accompagnata fanno oggi dell’ingiustizia sociale il problema più scottante per l’umanità. Nella sua “breve storia”, di cui raccomando la lettura integrale, Piketty scrive che “l’eguaglianza è una lotta che può essere vinta e nella quale ci sono sempre varie traiettorie possibili, che dipendono dalla mobilitazione, dalle lotte e da ciò che si apprende dalle lotte precedenti”.
**Thomas Piketty, professore dell’École des Haute Études en Sciences Sociale e dell’École d’Économie de Paris, è autore di numerosi studi storici e teorici che gli hanno fatto meritare nel 2013 il premio Yrjö Jahnsson, assegnato dalla European Economic Association. Il suo libro “Il capitale nel XXI secolo (2014) è stato tradotto in 40 lingue e ha venduto 2,5 milioni di copie.
Ipocrisia degli aiuti internazionali
Va posto l’accento anche sull’estrema ipocrisia che avvolge la nozione stessa di aiuto internazionale. Tanto per cominciare, il sostegno pubblico allo sviluppo è molto più limitato di quanto a volte si pensi: rappresenta un totale inferiore allo 0,2% del PIL mondiale (e appena lo 0,03% del PIL mondiale per l’aiuto umanitario emergenza). In confronto, i danni climatici causati ai paesi poveri dalle emissioni dei paesi ricchi rappresentano da soli parecchi punti di PIL mondiale.
I paesi ricchi dicono di aiutare quelli che in effetti li fanno arricchire. Ed è una realtà generale osservabile non solo a livello di rapporti nord- sud ma anche a livello regionale, per esempio in Europa…Paesi come la Polonia, l’Ungheria, la Repubblica Ceca o la Slovacchia hanno ricevuto, tra il 2010 e il 2018, trasferimenti pubblici netti compresi tra il 2 e il 4% del loro PIL. Il problema è che i flussi privati in uscita sotto forma di profitti, dividendi, e altri redditi da proprietà sono stati due volte più elevati nel corso del medesimo periodo: tra il 4 e l’8 percento del loro PIL.
Dal canto loro, Germania e Francia preferiscono tacere sui flussi privati in uscita: li si preferisce vedere come la naturale controparte degli investimenti realizzati, e si privilegia il fatto di guardare unicamente i flussi pubblici in entrata.
Se ci si focalizza sull’aiuto pubblico, che è comunque minuscolo, e non si pongono domande sull’ampiezza dei flussi privati, si costruisce una visione completamente falsata del sistema economico internazionale.
Diritti per i paesi poveri: uscire dalla logica centro-periferia
Per uscire da queste impasse, bisogna partire dal principio che tutti paesi dovrebbero disporre di un pari diritto allo sviluppo, e più in generale dal principio che la ripartizione delle ricchezze prodotte a livello mondiale è una questione eminentemente politica, la quale dipende per intero dalle regole e dalle istituzioni che ci si dà.
La prosperità degli attori più ricchi è dovuta integralmente al sistema economico mondiale e alla divisione internazionale del lavoro.
L’ arricchimento occidentale dopo la rivoluzione industriale non avrebbe potuto verificarsi senza la divisione mondiale del lavoro e lo sfruttamento sfrenato delle risorse naturali e umane del pianeta. I paesi ricchi non esisterebbero senza i paesi poveri e senza le risorse del resto del mondo: e questo vale per le vecchie potenze occidentali come per le nuove potenze asiatiche (Giappone e Cina). Dopo gli schiavi, il cotone, il legname e il carbone nel XVIII e nel XIX secolo, nel XX e in questo inizio del XXI secolo lo sviluppo economico ha continuato a far leva sullo sfruttamento su vasta scala delle risorse mondiali attraverso la manodopera a buon mercato dei paesi periferici, e le riserve di petrolio e di gas accumulate nel sottosuolo terrestre nel corso di milioni di anni, la cui combustione a ritmo accelerato sta per rendere il pianeta invivibile, principalmente a scapito dei paesi più poveri.
L’idea secondo cui ciascun paese (o, peggio ancora, ciascun individuo in ciascun paese) sarebbe individualmente responsabile della sua produzione e della sua ricchezza non ha molto senso da un punto di vista storico. Tutte le ricchezze sono, in origine, collettive. La proprietà privata è istituita (o dovrebbe essere istituita) solo nella misura in cui serva all’interesse generale, nel quadro di un complesso equilibrio di istituzioni e di diritti tali da limitare le accumulazioni individuali, far circolare il potere e meglio ripartire le ricchezze.
Un’imposta mondiale sui grandi patrimoni
Per cominciare si può pensare a un’imposta mondiale del 2% sui patrimoni superiori a 10 milioni di euro, il che frutterebbe già somme considerevoli: circa 1000 miliardi di euro annui, ossia l’1% del PIL mondiale, il quale potrebbe essere attribuito a ciascun paese proporzionalmente alla sua popolazione. Fissando la soglia a 2 milioni di euro, si potrebbe acquisire il 2% del PIL mondiale, o il 5% con una forte progressione a scalare sui miliardari…. E a ciò si potrebbe aggiungere un diritto dei paesi poveri a percepire una quota dell’imposta sui profitti delle multinazionali, in armonia con le attuali discussioni in proposito
E per evitare che il denaro venga utilizzato male
E per evitare che il denaro venga utilizzato male, occorrerebbe generalizzare la caccia ai patrimoni eccessivi accumulati dalle classi dirigenti del Sud come del Nord, sia in seno ai governi e al settore pubblico sia in seno al settore privato. Senza nessuna paura. La paura non deve più essere strumentalizzata per mettere continuamente in discussione la legittimità a esistere degli stati del sud.
Le soluzioni alternative tendenti a santificare il mercato e il rispetto assoluto dei diritti di proprietà acquisiti in passato a prescindere dalla loro ampiezza od origine sono soltanto costruzioni incoerenti che puntano a perpetuare ingiustizie e posizioni di potere prive di fondamento, costruzioni illusorie che, in ultima istanza, generano nuovi crisi.