La lotta per l’uguaglianza non è terminata. Deve proseguire radicalizzando al massimo la logica dell’evoluzione verso lo Stato sociale, l’imposta progressiva, l’uguaglianza reale e la battaglia contro tutte le discriminazioni. La lotta passa anche soprattutto attraverso una trasformazione strutturale del sistema economico mondiale. La fine del colonialismo ha permesso di avviare un processo egualitario, ma l’economia-mondo resta profondamente gerarchica e diseguale nel suo funzionamento.
da “una breve storia dell’uguaglianza” di Thomas Piketty*

* Di questo libro ho pensato di proporre gradualmente sul blog, a scopo divulgativo, i brani che ritengo più significativi. La pandemia come la crisi politica, economica e ambientale che l’ha preceduta e accompagnata fanno oggi dell’ingiustizia sociale il problema più scottante per l’umanità. Nella sua “breve storia”, di cui raccomando la lettura integrale, Piketty scrive che “l’eguaglianza è una lotta che può essere vinta e nella quale ci sono sempre varie traiettorie possibili, che dipendono dalla mobilitazione, dalle lotte e da ciò che si apprende dalle lotte precedenti”.
**Thomas Piketty, professore dell’École des Haute Études en Sciences Sociale e dell’École d’Économie de Paris, è autore di numerosi studi storici e teorici che gli hanno fatto meritare nel 2013 il premio Yrjö Jahnsson, assegnato dalla European Economic Association. Il suo libro “Il capitale nel XXI secolo (2014) è stato tradotto in 40 lingue e ha venduto 2,5 milioni di copie.
Neocolonialismo a vantaggio dei più ricchi.
L’organizzazione economica attuale fondata sulla circolazione incontrollata dei capitali, senza un obiettivo sociale ambientale, si apparenta molto spesso a una forma di neocolonialismo a vantaggio dei più ricchi. Si tratta di un modello di sviluppo politicamente ed ecologicamente insostenibile, e il suo superamento passa sia attraverso la trasformazione dello Stato social-nazionale in uno Stato social-federale aperto al Sud del mondo, sia attraverso una revisione profonda delle regole e dei trattati che reggono oggi la globalizzazione.
Nel 1820, il 10% della popolazione mondiale che abitava nei paesi più ricchi del mondo aveva un reddito medio poco più di tre volte superiore a quello del 50% che abitava nei paesi più poveri.
Nel 1960 la scala dei redditi mondiali era cinque volte più estesa: da uno a 16. Malgrado un netto calo dopo il 1980, la scala nel 2020 continua oscillare da uno a più di otto… È chiaro che le disuguaglianze mondiali restano estremamente forti, e che recano la traccia profonda dell’eredità coloniale e del divario tra l’Occidente e il resto del mondo apertosi tra il 1820 e il 1960.

Progetti federali e sconfitta del multilateralismo
Per avere un peso nei confronti delle multinazionali e degli Stati occidentali, e anche per evitare di riprodurre le rivalità nazionaliste all’europea, Senghor cercò di realizzare una federazione dell’Africa Occidentale. Il progetto si materializzò tra il 1959 e il 1961 con l’effimera Federazione del Mali, che raggruppò per breve tempo il Senegal e gli attuali Mali, Benin, e Burkina Faso, dopo il ritiro definitivo della Costa d’Avorio e del Niger. Tra il 1958 e il 1962 videro saltuariamente la luce altri progetti federali, come la Repubblica araba Unita (Egitto, Siria, Yemen) o la Federazione delle Indie Occidentali (Giamaica, Trinidad, Barbados ecc.)
Il progetto International Trade Organization (ITO), sostenuto nel 1947-1948 dall’India e dal Brasile, arrivò a proporre un quadro giuridico multilaterale che regolasse collettivamente le nazionalizzazioni e i trasferimenti di proprietà. Preoccupati da un tale interventismo, a causa del quale rischiavano di perdere il controllo e venivano minacciati i loro interessi, i paesi ricchi respinsero il progetto, che venne sostituito da strutture (GATT, poi WTO) che permettevano agli stessi di tenere strette le briglie ed imporre tutte le condizioni che volevano sulle questioni sensibili, il tutto fino ai nostri giorni.